Pellegrino di pace, accoglienza e incontro
Papa Francesco in Ungheria dal 28 al 30 aprile.
A colloquio con il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato
Fervono gli ultimi preparativi in Ungheria per la visita del Papa, che sarà a Budapest da domani, 28 aprile, fino alla fine del mese. Un viaggio apostolico che vedrà Francesco per la seconda volta incontrare i fedeli nella “perla del Danubio”: nel 2021 infatti c’è stato l’abbraccio in occasione del Congresso eucaristico internazionale. È il secondo Papa a compiere un viaggio apostolico in questa nazione, dopo san Giovanni Paolo II nel 1991 e nel 1996. Per tre giorni gli eventi si concentreranno nella capitale. Grande è l’attesa di incontrare il Successore di Pietro, che verrà per confermare nella fede. C’è attesa nella popolazione per le parole del Papa sui temi della famiglia e dell’accoglienza. «Stiamo vivendo in Europa la più grande crisi di rifugiati a partire dalla Seconda guerra mondiale», ribadisce ai media vaticani il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, il quale rimarca la «fede viva dell’Ungheria» e che «superata la fase delle minacce del comunismo», le nuove sfide per il clero e i giovani, sono quelle solo «apparentemente più innocue del materialismo e del consumismo».
Cardinale Parolin, il 41° viaggio apostolico di Francesco sarà in Ungheria, un Paese saldo nella fede che ha subito la dittatura comunista. Come nasce questo viaggio?
Direi che questo viaggio è un po’ il felice compimento di una promessa. Come sappiamo, il Santo Padre si era infatti recato a Budapest un anno e mezzo fa, nel settembre del 2021, per la conclusione del Congresso eucaristico internazionale e in tale contesto, oltre alla messa solenne, c’erano stati alcuni incontri: a livello privato con le autorità, poi con i vescovi e infine con i cristiani di altre confessioni e con i rappresentanti delle comunità ebraiche. Ora con questo viaggio apostolico che si accinge a realizzare, il Santo Padre intende anzitutto dare continuazione e completamento alla sua precedente visita a Budapest, e così il viaggio sarà dedicato per la maggior parte del tempo a degli incontri con i vari gruppi, con le varie componenti del popolo ungherese. Sono previsti incontri pubblici con le autorità, con il clero, i diaconi, i consacrati, gli operatori pastorali, con il mondo della marginalità — pensiamo soprattutto ai tanti rifugiati dalla confinante Ucraina —, con i giovani — siamo quasi alla vigilia della Giornata mondiale della gioventù che si terrà questa volta proprio nel continente europeo, ad agosto, a Lisbona — e poi con il mondo della cultura.
La visita si concentra nella capitale Budapest, non ci saranno altre tappe. Perché si è scelta questa modalità?
Si è scelta soprattutto perché questo permette di concentrare il maggior numero possibile di incontri nella capitale evitando spostamenti e facendo convergere le varie realtà del Paese a Budapest, una città che tra l’altro celebra proprio quest’anno un anniversario importante, il 150° della sua fondazione.
Il Santo Padre sarà nel cuore dell’Europa ferita dalla guerra. L’Ungheria confina con l’Ucraina. Che significato ha la presenza del Papa?
Questa visita è programmata da tempo e quindi non è motivata principalmente dalla situazione odierna che è marcata dalla guerra in Ucraina. Ma come sappiamo questa tragedia che si sta perpetuando sta molto a cuore al Papa e sono sicuro che in questa visita non verrà trascurata nessuna opportunità che si possa presentare per promuovere la pace. Questa particolare attenzione del Santo Padre, dunque, arricchisce la sua presenza in Ungheria anche di questo incoraggiamento per un maggiore impegno a favore della pace.
L’Ungheria si impegna molto nel sostegno alla famiglia e il Papa ha sempre nel cuore i giovani e i nonni. Questo incontro con il Successore di Pietro spingerà alla costruzione di ponti tra generazioni e nazioni?
Certamente avrà anche questo risultato. Ricordiamo che il Papa ha deciso due anni fa, nel 2021, di istituire la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, che ricorre ogni anno la quarta domenica di luglio e quest’anno sarà il 23 luglio. E questo tema nel contesto dell’Ungheria è ancora più attuale se consideriamo che la presidente della Repubblica — che ha ricoperto il ruolo anche di ministro della Famiglia dal 2020 al 2021 — presta molta attenzione alla famiglia; lo abbiamo potuto constatare anche quando è venuta in visita qui al Santo Padre e l’abbiamo incontrata in Segreteria di Stato. L’attenzione al più piccolo ma anche il più importante elemento costitutivo di ogni società. A me sembra che una coesistenza armoniosa tra i membri di una famiglia generi degli effetti positivi, diciamo che ha un effetto domino sulla cerchia più ampia di famiglie e così via. E così a partire dalla famiglia si può tentare di costruire anche delle società più pacifiche. Auspichiamo pertanto che, sulla base di questo ponte familiare intergenerazionale, si possa costruire un ponte di pace anche tra le nazioni.
Il Paese è al centro dei flussi migratori della rotta balcanica e di chi scappa dalla guerra tra Mosca e Kyiv. Presso la Chiesa di Santa Elisabetta d’Ungheria ci sarà l’incontro con i poveri e con i rifugiati come lei anche prima ha ricordato. La visita del Papa esorterà ancora di più a riconoscere e quindi aiutare chi bisognoso?
Stiamo vivendo in Europa la più grande crisi di rifugiati a partire dalla Seconda guerra mondiale: più di 8 milioni di rifugiati ucraini hanno attraversato l’Unione europea. E l’Ungheria, in questa situazione si è impegnata a mantenere le sue frontiere aperte alle persone in fuga dalla guerra in Ucraina e oltre 4 milioni di persone sono passate per l’Ungheria, o direttamente dall’Ucraina o dalla Romania. E sebbene siano rimasti in pochi — le cifre danno circa 35 mila — la Chiesa cattolica locale — attraverso soprattutto la Caritas, ma anche con l’aiuto del Governo — ha fatto del suo meglio per accoglierle e prendersi cura di questi rifugiati mentre continuano il loro viaggio verso altri Paesi europei. E parte di questo lavoro è stato anche quello di evitare che le donne e i bambini in particolare non cadano vittime della tratta di esseri umani. Nello stesso tempo però la Chiesa rimane preoccupata per la situazione dell’immigrazione irregolare lungo la rotta balcanica e per la difficile situazione che molti affrontano, per esempio, lungo il confine fra l’Ungheria e la Serbia. Anche se molti di coloro che si trovano al confine non sono rifugiati, la maggior parte ha bisogno di protezione e tutti devono essere trattati con il rispetto che meritano come persone umane. Ma facciamo anche presente, ed è giusto farlo, che questo è un problema che non riguarda solo l’Ungheria, ma tutti i Paesi della regione, soprattutto quelli lungo il confine con l’Unione europea, che stanno lottando per affrontare i crescenti flussi di migrazione mista da Paesi in conflitto e in estrema povertà. In questo senso tutta l’Europa deve trovare un modo per assumersi la responsabilità di coloro che cercano una vita migliore all’interno dei propri confini. E questo, ovviamente, include anche lavorare per aiutare i migranti a rimanere nei loro Paesi d’origine, in pace e sicurezza, in modo che non siano costretti a fuggire o a cercare pace, sicurezza e un lavoro dignitoso all’estero.
Grande è l’attesa nel Paese: Chiesa e governo lavorano insieme per donare la possibilità a tutti di partecipare all’incontro con il Papa. Ad esempio, i trasporti per raggiungere i luoghi della visita saranno gratuiti. Il Paese tutto quindi ha una fede viva?
Una fede viva e ammirevole quella del popolo ungherese, legata in modo particolare a molti santi che sono venerati nel Paese, da san Martino, santo Stefano, santa Elisabetta. Ma è una fede anche che è stata esemplarmente testimoniata da figure recenti: pensiamo ai diversi martiri e confessori della fede legati al periodo della persecuzione ateista — come non ricordare qui l’emblematica figura del venerabile cardinale József Mindszenty! Una fede, dunque, forgiata dalla sofferenza e praticata per anni da una Chiesa nascosta che, come un seme poi è germogliata e fiorita dopo anni di repressione. L’Ungheria è un Paese dalla fede viva, nelle mutate circostanze attuali ha bisogno, diciamo così, di mantenere viva questa fede, tenendo conto che viviamo in un contesto diverso da quello del passato, in un contesto che — come il Papa ha più volte ricordato — non rappresenta solo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. E quindi ci sono nuove sfide da affrontare che riguardano il clero, che riguardano i giovani: sono le sfide di una fede che superata la fase delle minacce del comunismo, si trova ad affrontare altre sfide, per esempio quelle che sono solo apparentemente più innocue del materialismo e del consumismo.
Eminenza, cosa si aspetta da questo viaggio?
Che il Papa realizzi gli obiettivi che si propone nell’andare in Ungheria e nel completare la sua visita precedente, quindi sempre l’aspetto del pastore universale che conferma nella fede i suoi fratelli, dove confermare nella fede significa anche consolare, incoraggiare, rilanciare la bellezza dell’annuncio di Gesù. È il motto stesso del viaggio che ci porta a questo: “Cristo è il nostro futuro”; guarda alla speranza in nome del Vangelo e ha a che vedere proprio con l’intento prioritario del pontificato di Papa Francesco, come lui lo ha espresso nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, la promozione della missionarietà, di una Chiesa in uscita verso il mondo per testimoniare la bellezza del Vangelo di Gesù. E la Visita sarà pure l’occasione per abbracciare un popolo particolarmente caro al Papa fin dai tempi delle religiose ungheresi che conobbe in Argentina. E infine, cito alcune sue parole, quelle che ha detto domenica scorsa dopo il Regina Caeli: «Sarà anche un viaggio al centro dell’Europa, sulla quale continuano ad abbattersi gelidi venti di guerra, mentre gli spostamenti di tante persone pongono all’ordine del giorno questioni umanitarie urgenti».
di MASSIMILIANO MENICHETTI
Fonte: L’Osservatore Romano